Uscire dalla zona di comfort
Dedico questo piccolo post ad un dibattito interessante innescato dagli amici di Weltanschauung Italia che saluto con ammirazione.
Il tema è il seguente. Vi sono continue spinte sia da parte dei guru della crescita personale, sia “sociali”, ad uscire dalla zona di comfort. Gli amici di WI affermano, giustamente, che a volte la zona di comfort è una vita semplice scelta consapevolmente e che questo tipo di scelta non è “un male”.
Dal mio punto di vista oggi la zona di comfort coincide sempre più spesso con una vita fortemente dinamica e “stimolante” mentre l’uscita da essa è proprio scegliere una “vita semplice”.
Ciò che voglio sottolineare è che, almeno nel mio caso, la “zona di comfort” non ha a che fare con l’esterno ma solo ed esclusivamente con l’interno. Viviamo un’era fatta di stimoli continui, di realtà aumentata, dove viene mitizzato socialmente colui che cambia continuamente (lavoro, tipo di vita, compagno/a ecc) e dove l’instabilità emotiva e la dinamicità sociale sono considerate qualità. Chi inconsapevolmente sceglie di adattarsi a questa “moda” è in qualche modo nella zona di comfort. Certo questa zona di comfort è in questo caso uno spazio scomodo ed asfissiante ma colui che lo abita percepisce il fastidio, nei rari casi vi sia consapevolezza di tale insoddisfazione, come necessario alla sua “crescita”. Si potrebbe dire, in generale, che la zona di comfort sia una scelta inconsapevole di imitazione sociale contro la propria autenticità?
Si potrebbe considerare che uscire dalla zona di comfort sia la scelta di una vita semplice, fatta di piccole grandi abitudini che lasciano spazio all’approfondimento delle poche relazioni significative ed è l’opposto della ricerca continua di stimoli? Sappiamo bene che dedicarsi alla contemplazione, creare spazi di silenzio, espandere i propri orizzonti sono per la maggior parte delle persone situazioni non confortevoli.
Se mi interrogo sul come riconoscere la propria zona di comfort diciamo “malata” rispetto a quella “buona”, a cui gli amici di WI fanno riferimento, l’unica risposta che mi sovviene è l’osservazione di sé. Interrogare sinceramente se stessi non costa nulla, non si ha bisogno di nessuno, ma in quanti oggi sono in grado di farlo? Chi ha una capacità di ascolto e conosce l’autenticità, sa benissimo quando una scelta rappresenta una “comodità” artefatta ed irreale, ovvero un piccolo ripiego che lascia insoddisfatti, oppure il contrario. Per comprendere è necessario guardare “dentro” e non “fuori” ed il riferimento alla zona di confort, almeno nel mio caso, è sempre e solo interiore.
Aggiungo che la conoscenza di sé avviene attraverso lo sperimentare la "soglia" e percepire quella "frizione" che è un disagio. Proprio per questo ritengo quindi comunque importante uscire dalla propria zona di comfort anche se significa più spesso passare dalla complessità alla semplicità e non per forza il contrario.
m.m.