STORIES: Il falso uccello e lo sposo stregone
Quante volte la risposta arriva prima ancora che ci sia chiara la domanda? Quante volte la nostra ragione si deve fermare, imbrigliata dagli stretti confini della logica e dell’intelletto? E quanto siamo ancora in grado di entrare in contatto con ciò che possiamo definire come “intuizione”? Molto spesso l’intelletto e la logica sono muri contro i quali ci schiantiamo. Ci fermiamo lì, a quello che è razionale in senso stretto.
Molti filosofi hanno suddiviso queste diverse facoltà umane, una che potremmo chiamare “intelletto” che rimanda alla conoscenza logico scientifica, e una che potremmo chiamare “ragione” che accoglie anche ciò che possiamo definire intuito, qualcosa che va oltre alla logica e al pensiero nella sua forma astratta e speculativa. Nel linguaggio odierno con la parola “ragione” invece identifichiamo solo ciò che appartiene alla mente scientifica, trascurando totalmente tutte quelle forme di conoscenza proprie della mente umana, ma che sono totalmente altro rispetto al ragionamento logico, che è sempre e solo “se A allora B”, fatto di assoluti, di bianco e nero, di VERO e FALSO, di 1 e 0. Eppure la mente, in unione con il corpo, è tanto altro, coglie sfumature, sensazioni, emozioni, distingue il bene dal male, il bello dal brutto, ciò che ci fa bene da ciò che ci fa male, trova connessioni, è aperta all’intuizione, all’idea, è in grado di creare, di percepire.
Oggi il contatto con questa forma di conoscenza, che per la maggior parte delle tradizioni filosofiche e religiose è la più importante e alta della natura umana, è spesso relegato alla superstizione o all’ignoranza. Non ci poniamo più in osservazione e ascolto di ciò che ci viene incontro, e spesso siamo totalmente ciechi di fronte ai tanti messaggi apparentemente casuali che ci si pongono davanti. In continua ricerca di oggetti materiali da accumulare, di corsa per imitare modelli di plastica, connessi davanti a schermi che hanno la risposta a tutto, non siamo più in grado di leggere nulla di quello che ci accade. E la tendenza attuale è quella di indebolire sempre di più questo lato umano, tenendoci distanziati, lontani dalla natura, disposti a credere solo in quello che ci viene riportato come dimostrato scientificamente.
Ecco, su questo vorrei fare una considerazione: la corteccia cerebrale, dove risiede il pensiero logico razionale, è la parte del nostro cervello più recente. Ci dà accesso ad una forma di sapere che è forse il meno antico di tutti quelli che possediamo, basti pensare al riconoscere le espressioni del volto, o reagire di fronte ad un pericolo. In generale quando siamo in una situazione fortemente complessa, lasciare il giudizio e la conoscenza solo alla parte razionale può esser estremamente limitante e condurci sulla via sbagliata.
Molto spesso possiamo trovare risposte dove meno penseremmo di trovarle. Ma dobbiamo essere in grado di ascoltare, di vedere, di sentire.
Ultimamente mi capita spesso di interrogarmi su questo e di lasciare che alcune cose semplicemente accadano seguendo quello che alla mia parte logica sembra casuale. Ho un libro in cui spesso cerco risposte, anche se inconsueto. È la raccolta di fiabe dei Fratelli Grimm. Proprio ieri l’ho aperto ad una pagina a caso, e mi si è presentata sotto gli occhi la fiaba “Il falso uccello e lo sposo stregone”. Di per sé il titolo non mi ha subito detto molto, ma dalla lettura l’ho riconosciuta. È la versione dei Grimm della favola di Barbablù. È la seconda volta in breve tempo in cui mi sono trovata a contatto con questa fiaba, di cui ci sono state tantissime rivisitazioni ed interpretazioni, da quelle più psicologiche a quelle più storiche.
Ed è proprio con questa suggestione e con l’invito alla lettura di questo racconto (che riporto sotto a termine dell’articolo) che concludo. Attenzione a non darne solo una scorsa superficiale, perché in questa fiaba ci sono simboli molto potenti, come la chiave, il sangue, l’uovo, la porta. È una fiaba che racconta la potenza del femminile, anche se apparentemente sembrerebbe il contrario. È una fiaba che parla della curiosità di voler andare oltre, con i rischi connessi. È una fiaba in cui una chiave ci dà accesso ad una verità proibita, che diventa dolorosa e può condurre alla morte, ma che è anche fondamentale scoprire affinché diventi salvifica. In questa fiaba troviamo tutto il coraggio e la forza che scaturiscono dall’accesso alla Conoscenza.
La verità ci mette in pericolo? Sì. Per l’accesso alla verità servono la curiosità, il coraggio e una chiave. Molto spesso c’è qualcuno che non vuole che si usi quella chiave, che ce lo vieta. E solo chi ha molto coraggio, apre comunque la porta. È certamente rischioso, ma è forse ciò per cui siamo qui, a vivere giorno dopo giorno. In un momento di porte chiuse e di stanze proibite come questo, leggiamo questo racconto tenendo invece aperte le porte della nostra mente (e non solo della logica) e ritroviamo il coraggio di usare la chiave che ognuno di noi ha dentro di sé per tornare ad essere liberi.
Alice K.
Il falso uccello e lo sposo stregone (Fratelli Grimm)
C'era una volta un vecchio mago che, preso l’aspetto di un mendicante, andava di casa in casa chiedendo l’elemosina e si portava via le belle ragazze. Nessuno aveva idea di dove le portasse, né di che fine facessero, perché non tornavano mai più. Un giorno arrivò davanti alla porta di un uomo che aveva tre belle figliole, lo stregone aveva l’aspetto di un poverello e portava sulla schiena una gerla come se volesse raccogliere lì i doni che riceveva. Chiese per carità un pezzo di pane e quando la figlia più grande glielo offrì, la toccò appena e quella dovette balzargli nella gerla. Poi lo stregone se n’andò a grandi passi e se la portò nella sua casa che stava nella boscaglia più fitta. In casa tutto era splendente, egli le diede tutto quello che bramava e le disse: "Tesoruccio, ti piacerà sicuramente qui da me, avrai tutto ciò che il tuo cuore desidera. "
Andò avanti così un paio di giorni e poi disse: "Debbo partire e lasciarti sola per un po’, eccoti le chiavi di casa, puoi andare da qualsiasi parte e guardare tutto, ma non nella stanza che si apre con questa chiave piccina, lì ti vieto d’entrare, pena la vita." Poi le consegnò un uovo e le disse: "Conservamelo bene e portalo sempre con te, perché se andrà smarrito, ne verrà una grande sventura." Lei prese le chiavi e l’uovo e diede parola di far tutto per bene. Quando quello se n’andò, girò la casa da cima a fondo, le stanze lampeggiavano d’argento e d’oro e lei considerò che mai aveva visto una simile ricchezza. Alla fine giunse alla porta proibita, voleva passare più avanti, ma il desiderio di sapere non le dava pace. Guardò attentamente la chiave, pareva una chiave come tutte le altre, l’infilò nella serratura, girò un pochino e la porta si aprì del tutto. Ma cosa vide quando entrò? In mezzo alla stanza c’era una vasca insanguinata e lì nell'interno c’erano dei morti fatti a pezzi e di fianco c’era un ceppo e sul ceppo un’ascia. S’impaurì a tal punto che l’uovo che aveva in mano vi cadde dentro. Lei lo ripescò e lo lavò dal sangue, ma inutilmente, subito il sangue ricompariva. Lavava e strofinava, ma non riusciva ad asportarlo. Poco dopo ritornò l’uomo dal suo viaggio e subito richieste la chiave e l’uovo. Lei glieli porse, ma rabbrividiva tutta e, dalle macchie rosse, lui osservò subito che era entrata nella camera insanguinata. "Sei entrata contro il mio volere, ora vi entrerai contro il tuo." La buttò dentro, l’afferrò per i capelli, le fece appoggiare la testa sul ceppo e gliela tagliò e il suo sangue scolò sul pavimento. Poi la buttò con le altre nella vasca. "Ora andrò a prendere la seconda" disse lo stregone.
E sotto le sembianze di un mendicante, si recò nella casa del pover’uomo a domandare l’elemosina. La seconda figlia gli portò un pezzo di pane, e anche di questa s’impadronì con un solo tocco e poi se la portò via. Non andò meglio neppure alla sorella, si lasciò prendere dalla curiosità, aprì la stanza insanguinata, guardò dentro e al ritorno dello stregone dovette pagare con la vita. Egli andò a prendere la terza che era prudente e scaltra. Quando l’uomo le diede la chiave e partì, per prima cosa mise l’uovo bene al sicuro, poi esaminò la casa, alla fine andò nella stanza proibita. Dio mio, cosa vide! Le sue care sorelle giacevano nella vasca, pietosamente uccise e fatte a pezzi. Ma lei cercò e raccolse le parti del corpo sparse le riunì, testa, corpo, braccia, gambe. E quando non mancava più niente, le membra iniziarono a far dei movimenti e si saldarono bene l’un l’altra e tutte e due le ragazze spalancarono gli occhi e furono di nuove vive. Allora si fecero festa e si baciarono e abbracciarono. L’uomo, al suo ritorno, chiese subito la chiave e l’uovo e poiché non c’erano impronte di sangue, l’uomo disse: "Hai superato la prova, sarai mia moglie." Lui in questo modo non possedeva più poteri su di lei e doveva fare quello che lei desiderava. "Benissimo" rispose la ragazza, "ma prima porta un cesto d’oro a mio padre e a mia madre e portalo tu stesso sulla schiena. Io nel frattempo farò i preparativi per le nozze." Poi corse dalle sorelle che aveva nascoste in uno stanzino e disse loro: "È sopraggiunto il momento per strapparvi al pericolo, quel miserabile vi porterà lui stesso a casa, ma appena sarete a casa mandatemi aiuto." Mise ambedue nel canestro e le rivestì d’oro così che non potessero vedere. Poi chiamò lo stregone e gli disse: "Porta il cesto, ma io ti guarderò dalla finestra, guai a te se ti fermi o riposi." Lo stregone innalzò il canestro, se lo mise sulle spalle e corse via, ma era talmente pesante che gli scolava il sudore sul viso. Allora si sedette e voleva riposare un po’, ma dal cesto una gridò: "Guardo dalla finestra e vedo che riposi, vai subito avanti." Egli ponderò che fosse la sposa e si alzò e si rimise per via. Ancora una volta voleva sedersi, ma subito sentì gridare: "Guardo dalla finestra e vedo che riposi, vai subito avanti. " E ogni volta che si fermava, una strillava e lui dovette correre, fino a che senza fiato e spossato morto portò l’oro e le fanciulle alla casa dei genitori. Nel frattempo in casa la sposa faceva preparativi le nozze e invitò gli amici dello stregone. Poi prese un teschio con i denti sghignazzanti, lo agghindò con i gioielli e una corona di fiori, lo portò su in soffitta e lo sistemò come se stesse guardando fuori. Quando tutto fu pronto, s’immerse in un barile di miele, aprì il piumino e ci si rotolò dentro, tanto che sembrava uno strano uccello e nessuno l’avrebbe potuta individuare. Uscì da casa e, per via, incontrò una parte degli ospiti e loro le domandavano:
"Da dove vieni uccelletto felice?"
"Vengo dalla casa di piuma di gallina."
"E cosa fa la giovane sposina?"
"Ha spazzato tutta la casina e guarda dalla finestra."
Infine incontrò proprio lo sposo che se ne ritornava con lentezza verso casa. Anche lui, come gli altri chiese:
"Da dove vieni uccelletto felice?"
"Vengo dalla casa di piuma di gallina."
"E cosa fa la mia sposina?"
"Ha spazzato tutta la casina e guarda giù dalla finestra."
Lo sposo guardò su e scorse il teschio tutto abbigliato. Allora pensò che fosse la sua sposa e le fece un bel gesto di saluto. Quando fu in casa con tutti i suoi ospiti, ecco arrivare i parenti e i fratelli della sposa che erano venuti a portarle aiuto. Allora tutti insieme chiusero le porte e barricarono le finestre in modo che nessuno potesse uscire e appiccarono il fuoco così lo stregone e tutta la sua discendenza dovettero bruciare.
STORIES è una rubrica dedicata a grandi storie del passato che possono ispirare il tuo presente.