Marco Corbelli: Atrax Morgue, la morte attraverso il suono
A cura di Alice Kundalini - She Spread Sorrow
Scrivere qualcosa su Atrax Morgue per me è estremamente difficile. E' un artista il cui valore profondo ha talmente scavato dentro di me, che parlarne mi risulta quasi sacrilego. Ma non posso non dedicare una pillola a lui, al suo ricordo. Atrax Morgue è uno dei principali artisti della scena industriale italiana e mi oso dire, il principale della scena power electronics italiana. Dal paese del sole, della pizza e della mamma, abbiamo esportato uno dei progetti musicali più estremi, controversi e disturbanti mai prodotti. Atrax Morgue è il progetto di Marco Corbelli, che è morto suicida all'età di 37 anni, nel 2007. Da qualche anno facevo parte anche io di quella scena musicale, ero all'inizio, con le prime sperimentazioni sonore e la notizia quando mi è arrivata mi ha tolto letteralmente il fiato. Non conoscevo Marco, come invece lo conoscevano alcuni miei cari amici, lo avevo incrociato solo una volta ad un concerto (un'edizione del Congresso Post Industriale a Prato), ma tra sociopatici come noi (detto con estremo affetto) non si usa attaccare bottone con facilità. Come succede spesso, la mia stima e l'amore per ciò che faceva, l'ho tenuto per me ed è poi stato così senza la possibilità di recuperare. Dopo la sua morte, il suo personaggio ha cominciato a godere di una fama crescente in ambito industrial, sia italiano che internazionale, come spesso succede anche nei generi più mainstream.
Marco ha avuto tanti progetti (Mörder Machine, Progetto Morte, Pervas Nefandum, ecc), attivo dagli inizi degli anni '90, ha collaborato con tantissimi personaggi della scena industrial italiana, e ha prodotto con la sua etichetta indipendente, la Slaughter Productions, moltissimo rumore. Si trattava di produzioni con tirature limitate, a volte limitatissime, di cui trovare materiale non è semplice, anche solo da ascoltare in formato digitale. Si trattava spesso di cassette che giravano per posta tra gli addetti ai lavori e gli appassionati, tra i vari personaggi di quella scena, con una modalità di produzione e diffusione della musica estremamente affascinante e che costituisce il valore di quello che era l'underground all'epoca, anzitutto una comunità. Ascoltare Atrax Morgue non è semplice. Certo, perchè il genere è assolutamente ostico e talvolta prodotto con pochi mezzi e su formati che perdono molta qualità, come le cassette (anche se così affascinanti). Tutta la power electronics non è semplice, è probabilmente uno dei generi più estremi al mondo, dove c'è solo rumore, estremamente distorto, a volte violentissimo, a volte super minimale, talvolta accompagnato da testi quasi incomprensibili perchè totalmente effettati e sempre estremamente provocatori, dal contenuto che è un pugno nello stomaco.
Però ascoltare Atrax Morgue non è semplice non solo perchè il genere non lo è, ma perchè quel suono è un collegamento diretto con qualcosa di estremamente profondo e in qualche modo marcio. La sua musica non parla di cose estreme, le crea. E' il suono che non vuoi sentire. E' talmente profondo che non riguarda l'orecchio. Riguarda la pancia. Io AM lo sento lì. La sua ossessione per la morte era qualcosa di così radicato che è come se tutto quello che uscisse da lui avesse quella determinata consistenza. Il suo suono è spesso minimale, ripetuto, ti scava, piano piano, come se ti decomponesse, come se ti rosicchiasse. Sembra spesso il suono di qualcosa che viene masticato, consumato. La sua musica non dipinge scenari inquietanti, la sua musica fa terrore. Ti mette in contatto con qualcosa di profondo e viscerale, che non si vuole vedere. Qualcosa di estremamente sporco. Di malato. A questo si aggiunge anche un'immagine molto forte, che spesso arriva esattamente quanto il suo suono, creando un'estetica completa.
Verrebbe da chiedere perchè ascoltare quindi una cosa del genere. La risposta non può che essere personale, magari semplice curiosità per qualcosa che non possiamo non definire unico, magari per scoprire che il suono può non essere musica e non avere parole, ma comunicare tantissimo, magari perchè non si scappa davanti a certe paure primordiali, ma ci si interroga. Personalmente sono grata a Marco, perchè nel suo cammino così autentico e doloroso, spesso mi ha accolto attraverso questi suoni in una condivisione di malesseri profondi, in cui lentamente il nero diventa davvero la somma di tanti colori diversi, e spesso poter condividere aiuta anche a non sentirsi così tremendamente soli.
Per ascoltare qualcosa, si possono cercare le sue tracce su YouTube (su Spotify non si trova nulla). Per avere dei suoi dischi, la ricerca non è semplice, ma si trova ancora qualcosa cercando su canali come Discogs.
Un caro amico, artista e produttore di rumore d’eccellenza, oltre che grande esperto ed appassionato del genere, Nicola Vinciguerra, ha scritto per me l'articolo su AM che più mi ha toccato e che potete trovare qui.
Black Pills è una rubrica che non vuole insegnare nulla. Ci sono libri, articoli, manuali che trattano biografie di artisti, film, opere d'arte in modo dettagliato ed esaustivo. Non è questo il caso. Le pillole nere sono piccoli scorci di panorami culturali e artistici a volte molto ampi che rappresentano la possibilità di approfondire tematiche che non appartengono totalmente alla cultura di massa, ma che si muovono su altri canali e altri circuiti. In un mondo dove la scelta è limitata spesso a ciò che è definito nel senso più ampio come pop, è vivamente consigliato assumere qualche pillola di colore diverso e scoprire magari qualcosa di nuovo, che in alcuni casi, come nel mio, può accompagnare per il resto della propria vita.