STORIES: Gina Pane

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Viviamo con l’idea costante di fuggire dal dolore. Alla ricerca di una felicità usa e getta, fatta di acquisti e like, leggiamo ogni giorno messaggi che ci vogliono vincenti, sorridenti, soddisfatti. Come se la vita felice fosse quella in cui non c’è sofferenza. Come se il traguardo da raggiungere fosse quello di provare solo emozioni positive. E se senti qualcos’altro, eh niente, sei sbagliato, debole, malato. Quindi che si fa? Si rifiuta, si fugge, si finge. E questa costante ricerca della vita perfetta, senza nessun dolore, diventa una costante fonte di insoddisfazione. Che però attenzione, va nascosta. Perché, certo, si deve essere sempre soddisfatti e sicuri di sé, delle proprie mete, dei propri obiettivi. Corri, corri, corri, corri e (non) arriverai a quel traguardo con un bel sorriso finto, una vita vuota, un buco immenso dentro e la totale incapacità di stare nel dolore, di sentire la sofferenza come una condizione naturale e temporanea. Perché sì, sei costantemente bombardato: non dovresti soffrire, ma soprattutto, se soffri, tienitelo per te. Nascondilo. Rifiutalo. Rimuovilo. Mettilo a tacere. Lascialo per anni a “fermentare”, quello sì che fa bene. Questo è il messaggio. E poi, attenzione, soprattutto sei sei una donna. Sarà mica bella una donna che piange? O arrabbiata? In realtà anche ridere troppo non va proprio bene, perché rischi che ti vengano le rughe. Già, sei una donna, non solo devi essere sempre felice, ma anche sempre bella, e non bella come vuoi tu, ma come ti dicono gli altri. Bella è labbra gonfie, seno grosso, fisico perfetto, niente rughe, magra ovviamente, e poi, dai, vestiti decentemente, vai dal parrucchiere e dall’estetista, e le unghie? Non lo sai che è dalle mani che si vede se una donna si prende cura di sé o no? Nel senso che se hai le unghie perfette, allora sì che ti vuoi bene. E i tacchi per carità, che con le scarpe basse sembra che hai le gambe corte. Fa niente se ti distruggi i piedi, tanto da lì non si capisce se ti vuoi bene o no, ti ho detto che si capisce dalle mani. E oh, mi raccomando, donna, con i tacchi, tieni ferma la testa che ti spettini, non ti toccare la faccia che ti sbavi il trucco, e mentre cerchi di far funzionare tutto, mi raccomando, SORRIDI!

Ecco, per questo Gina Pane. Una donna, un’artista che ha reso il suo corpo una tela bianca dove gridare tutto il dolore che ognuno si porta dentro. Il dolore c’è. Eccome se c’è. Per tutti. E non è un momento. E non è qualcosa da mettere a tacere. Non è qualcosa da cui fuggire. Gina Pane nelle sue performance lo rappresenta con tutta l’intensità autentica di una donna che lo espia anche per noi. Ecco, è qui. Il dolore è qui. Davanti a te. Non fuggire. Puoi superarlo, ma solo se ci passi attraverso. Come nelle sue performance. Si taglia, si ferisce, si punge, sì, certo, fa male, ma nel male c’è vita. Esce sangue. Nel sangue c’è vita. C’è verità, autenticità, vicinanza, umanità.

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Una delle sue performance più celebri è Azione Sentimentale del 1973. Entra in scena, un abito bianco, un mazzo di fiori. Tutto è così asettico, delicato, quasi come una sposa con un bouquet. Si siede. I fiori sono rose. Le rose sono bellissime anche se hanno le spine. Toglie le spine dai fiori. Una per una le spine nel braccio. Fa male. Certo. Lo puoi sentire anche tu quel male. È per dirti che va tutto bene se lo senti. Non sei malato. Prendilo con te, accoglilo. È la spina della rosa. Non buttare tutta la rosa per paura delle spine e non comprare per favore le rose a cui le hanno tolte. Sono finte. E invece Gina Pane ti dice, il dolore ti rende vero.

In Il Bianco Non Esiste, altra celebre performance, improvvisamente si taglia il volto con una lametta. Si ferisce. Vuole rompere lo specchio. L’immagine. Cercare la verità. Ogni taglio rappresenta una donna abusata. La bellezza oltraggiata.

Artista, femminista, donna di intelligenza e cultura uniche, performer e una delle massime esponenti della body art. Il coraggio di essere la propria opera d’arte nel suo essere umana. La sua storia è quella di una donna che ha dedicato la vita alla comunicazione di tutte quelle emozioni da cui siamo in costante fuga. Il suo corpo come una tela bianca diventa ricettacolo del dolore profondo che nascondiamo quotidianamente dietro ad un sorriso da copertina. Il suo corpo diventa simbolo. Del dolore inespresso, del dolore nascosto, del corpo della donna, della rabbia, di tutto quello che ci dicono che non va, che è sbagliato, che è malato, che è brutto. Grazie Gina per il sangue che hai versato nelle tue performance, perché è quello di tutti. Grazie per mostrare il dolore che non riusciamo ad ammettere. Grazie per dire con i gesti, il corpo, le performance, l’arte, quello che in così pochi riusciamo a dire. Soffro. E quindi Esisto.

Alice K.

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STORIES è una rubrica dedicata a grandi storie del passato che possono ispirare il tuo presente.

 
Marco Mandrino