Joel Peter Witkin: la fotografia che sconvolge

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A cura di Alice Kundalini - She Spread Sorrow

Joel Peter Witkin è un fotografo americano nato nel 1939, che vive e lavora ad Albuquerque in Nuovo Messico. È un fotografo estremamente controverso, molto spesso censurato, in grado di suscitare accesi dibattiti in ambito artistico e anche morale.

Già, perché Witkin sconvolge. Universalmente. La cosa che possiamo affermare per certo è che nessuno può restare indifferente a una qualunque sua opera. Non può non suscitare una reazione. La provoca in chiunque perché Witkin tratta tematiche universali in un linguaggio diretto e potentissimo, senza suggerimenti o interpretazioni, ma con estrema chiarezza e trasparenza, direi brutalità. Per quanto sia sempre una brutalità composta, letteralmente.

I temi che tratta sono proprio quelli che ci fanno torcere le budella. Non in quanto esseri pensanti, ma in quanto esseri viventi. Perché i tasti che Witkin preme sono quelli atavici, legati ad un istinto primitivo, che è quello di essere attratti dalla vita, dalla bellezza, dal colore, dalla forma armonica. E invece in Witkin troviamo la morte, la deformazione, immagini con uno sfondo sessuale disturbante, parti del corpo mozzate o amputate e tutto in totale assenza di colore, con un durissimo bianco e nero, spesso accompagnato da graffi e disturbi all’interno della foto. Le sue tematiche sono queste, la transitorietà della vita e la vulnerabilità del corpo.

Già, Witkin sconvolge. Universalmente. Ricompone nella sue opere degli scenari surreali, ma in realtà incredibilmente reali. Composizioni create da lui stesso, che comprendono fiori, frutti, animali, parti anatomiche talvolta recise, veri e propri pezzi di corpo, cadaveri, freaks, mutilati. Bè, ovviamente il tutto con una tecnica ineccepibile, che lo porta ad essere un maestro assoluto, per quanto controverso. Racconta che questa ossessione per la morte nasce da un incidente d’auto a cui ha assistito quando aveva solo 7 anni, nel quale ha visto la testa decapitata di una bambina rotolargli davanti. Un racconto atroce di un episodio atroce, che si ritrova nell’atrocità della sua arte.

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Appare chiaro il motivo per cui Witkin sconvolge. Le riflessioni da fare a riguardo sono molteplici, che partono dalla considerazione che abbiamo dell’arte e del ruolo dell’artista. Il fatto di sollevare profondi interrogativi e dibattiti, anche e soprattutto di ognuno con se stesso, è già tantissimo. Il fatto di scioccare, sconvolgere, stupire, turbare, toccare le corde più profonde dell’essere umano, è davvero uno dei ruoli fondamentali dell’artista contemporaneo. E lui è davvero un maestro nel farlo. Provocare e non lasciare indifferenti, soprattutto oggi, in cui sembra che tutto scivoli rapidamente addosso a chiunque. Ma qui non è possibile non avere una reazione forte. Le domande che si aprono di fronte alle sue opere, sono quelle che portano l’essere umano ad un grado di conoscenza di se stesso molto più profondo. Una delle sue opere più celebri rappresenta due teste recise di due uomini morti che si baciano. Non occorre descrivere la motivazione della potenza di questa immagine. Così come della maggior parte delle sue foto. Ovviamente la reazione immediata è spesso quella del disgusto. È evidente come qualcosa di primitivo che è poi collegato al nostro istinto di sopravvivenza e conservazione, ci porti subito a rifiutare e voler scappare di fronte alla morte, alla deformità, alla malattia. La reazione è talmente forte e immediata che subito ti riporta a contatto con l’attaccamento alla vita. All’esistenza. Un potentissimo memento mori.

Già, Witkin sconvolge. Universalmente. Ma da qui poi le strade che si possono percorrere di fronte alle sue opere sono molteplici. Per molti la strada si ferma al rifiuto. Per alcuni è di sdegno. Per alcuni di censura. Per altri invece è motivo di introspezione. Secondo me sarebbe importante per tutti analizzare perché siamo così turbati dalle sue foto.

Che cosa mi fa stare così tanto male? Cercare nel corpo morto o deforme quei principi che mi disturbano e chiedermi che cosa può essere bello e che cosa no. Perché una gamba o un piede non hanno molto di particolare da dirmi, ma se li vedo staccati da un corpo e poggiati su un tavolo mi sconvolgono? Perché posso pensare la morte, ma non posso vedere un corpo morto? Perché penso che non sia giusto utilizzare dei veri cadaveri per delle opere d’arte (se lo penso)? Quel corpo “deforme” può essere considerato bello? E che cosa me lo fa definire "deforme"? Dei bellissimi fiori recisi in un vaso sono belli, dei bellissimi fiori recisi e infilzati in una testa mozzata su un tavolo sono sempre belli? Dei fiori recisi in un vaso sono belli, un piede reciso può esserlo? Una bellissima gamba è sempre bella anche se fa parte di un corpo considerato deforme? O di un corpo morto? E amputata? Perché fotografare una modella nuda va bene e una persona obesa o con delle amputazioni no? In quali occasioni si considera strumentalizzazione del corpo e quando no? Perché è così disturbante ritrovare elementi sessuali in contesti come questi? Cosa mi fa paura? Perché se vedo la fotografia di un teschio ben pulito e sistemato non mi fa molto effetto, ma se invece vedo una testa completa sì?

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Queste solo alcune delle domande. E ricercare la risposta è un modo per conoscere qualcosa di davvero profondo del proprio essere. E se per ognuno la risposta è diversa, il filo rosso è l’attaccamento alla vita. Quel qualcosa di sacro che rende bello un bacio, universalmente. È forse questo uno dei motivi per cui se il primo impatto è la repulsione, poi di fronte alle sue opere sopravviene una strana forma di attrazione e curiosità di vedere altro.

Di fronte alla morte, questo resta. La voglia di vita, bellezza, amore. L’arte è celebrazione di ciò che è bello, vitale, armonico, di ciò che ci rende felici. E per quanto capisca che per molti non sia possibile fare questo salto, per me nell’arte di Witkin questo è assolutamente evidente. Utilizzando un linguaggio estetico incredibile e spingendo sull’opposto, celebra ciò che abbiamo di più importante.

Quindi sì, Witkin sconvolge. Universalmente. Ma per me è bellissimo che sia così. E continuo a seguire lui e le sue opere perché voglio che lo faccia sempre di più. Che mi porti sempre a farmi domande. A pensare “no dai, questo è troppo, non si dovrebbe fare”, per poi chiedermi perché. E arrivare sempre alla radice, sempre più in profondità. A mettere in discussione i paradigmi dati per assodati. Ricercando nuove forme di vita e di bellezza, laddove ci sembra che non possano esistere.

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Black Pills è una rubrica che non vuole insegnare nulla. Ci sono libri, articoli, manuali che trattano biografie di artisti, film, opere d'arte in modo dettagliato ed esaustivo. Non è questo il caso. Le pillole nere sono piccoli scorci di panorami culturali e artistici a volte molto ampi che rappresentano la possibilità di approfondire tematiche che non appartengono totalmente alla cultura di massa, ma che si muovono su altri canali e altri circuiti. In un mondo dove la scelta è limitata spesso a ciò che è definito nel senso più ampio come pop, è vivamente consigliato assumere qualche pillola di colore diverso e scoprire magari qualcosa di nuovo, che in alcuni casi, come nel mio, può accompagnare per il resto della propria vita.

 
Marco Mandrino