Chelsea Wolfe: dolore e bellezza
A cura di Alice Kundalini - She Spread Sorrow
La pillola di oggi è dedicata ad una musicista americana meravigliosa: Chelsea Wolfe. Faccio una breve premessa, sono nata nell'83 (come quest'artista tra l'altro) e ho vissuto a pieno il “Girl Power” e nonostante all'epoca non mi nutrissi di Spice Girls, ma di Black Metal e Industrial, lo spirito di unione femminile l'ho sempre sentito tantissimo. E ammetto, al di là di questo, semplicemente la maggior parte della musica proveniente da progetti femminili mi piace di più, per gusto personale e forse per una sensibilità che sento più simile alla mia. In certi generi musicali più di nicchia le donne sono spesso delle mosche bianche e questo mi è sempre dispiaciuto, oltre ad averlo vissuto personalmente trovandomi a suonare quasi sempre in contesti prettamente maschili. Ma personaggi come Chelsea Wolfe portano avanti con forza il baluardo femminile, che anche grazie a lei si sta facendo sempre più importante e significativo, iniziando a mostrare una lontana luce fuori da quel tunnel per cui certa musica sia materia solo per maschietti. E per questo, a maggior ragione, quando trovo donne cazzute che propongono gran musica, non posso che supportarle al massimo, almeno per quel che mi è possibile.
Chelsea Wolfe è una cantautrice californiana con una sensibilità unica, che fa musica scurissima, una sorta di folk nero e ricco di contaminazioni , oscuro, arricchito dalla sua voce a volte inquietante, a volte dolcissima, che arriva allo stomaco, sempre con grande grazia e potenza.
Comincia la sua carriera in salita e forse per questo il suo percorso è ancora più interessante e può essere uno spunto magnifico a cui ispirarsi. Il primo suo primo disco del 2006 Mistake in Parting lo definisce lei stessa "vergognosamente brutto." I due dischi successivi li autoproduce e li suona da sola, con la chitarra di sua madre, che però ha un problema di accordatura e quindi suona in una tonalità differente, più bassa, rendendo questo possibile intoppo il tratto distintivo dei due dischi. Ha grosse difficoltà a salire sul palco, al punto che per il suo primo tour decide di indossare un velo nero sul volto: per trovare la forza di esibirsi, è per lei necessario non mostrarsi. Siamo ancora nel 2011/2012, ed è per me estremamente coinvolgente sentire il racconto di un'artista che supera i suoi limiti per questa necessità assoluta di esprimersi, di creare e di comunicare. E sentire la voce sensibile di un'anima grande che ha paura a mostrarsi, in un'epoca dove tutti ci sentiamo autorizzati a metterci in vetrina, come merce sugli scaffali e godiamo nel far vedere tutto quello che facciamo, come se fosse interessante per chissà poi chi. E invece qui, di fronte al contenuto, al talento, all'arte, si ritrova quella dolcezza e sensibilità unica, di chi lotta costantemente tra la voglia di cantare o gridare il dolore, l'emozione, una canzone e la voglia di seppellirsi in una stanza sola in totale solitudine. Forse per questo contrasto, che magari per molti è solo un dettaglio della sua carriera, così ricca, sento Chelsea Wolfe così vicina e per questo la amo così profondamente.
Il 2012 è l'anno di Pain is Beauty, ad oggi per me uno dei suoi dischi preferiti. Ed è un album che parla d'amore. In tante sfaccettature diverse, tormentato, doloroso, passionale, sempre potente. Musicalmente tormentato, doloroso, passionale, sempre potente. Sì, come l'amore di cui parla. Un disco più che nero, rosso, come il vestito che non a caso indossa in copertina. Unisce alla chitarra e agli strumenti più consoni della tradizione folk da cui proviene, anche strumenti elettronici, synth e ritmiche che consentono al suo suono di espandersi, di diventare più coinvolgente. E sempre più scuro.
Nel 2015 questa unione di generi diventa ancor più interessante, portando il suono dell'artista a un livello differente, più aggressivo, ancora più nero, un folk ormai in perfetta fusione con il doom e l'industrial. L'album è Abyss, ispirato alla lettura di "Ricordi, sogni, riflessioni” di Carl Gustav Jung.
Altri due album per arrivare fino ad oggi: HissSpun del 2017 e Birth Of Violence del 2019, entrambi estremamente interessanti, in cui consolida questo sound neofolk darkeggiante, con momenti sludge, goth, metal, sempre estremamente scuri.
Interessanti anche le varie collaborazioni della cantautrice, da quella con King Dude nel 2013 a quella con l'altra meravigliosa artista, Myrkur, del 2017. E interessante anche che un brano di Pain is Beauty (Feral Love, una delle mie canzoni preferite) sia stato inserito nella colonna sonora di Game of Thrones e che abbia contribuito anche a quella di Fear the walking dead con un brano industrial molto potente parte dell’album Abyss (CarrionFlowers).
L'ho vista live una sola vola, a Milano, ed è stata un'esperienza davvero intensa, come è lei, la sua voce, la sua musica, ma soprattutto l'atmosfera che crea semplicemente con la sua presenza. E' una persona che emana quell'energia strana, che senti subito che ti avvolge e ti rapisce, che ti attrae nel nero del suo mondo, dove la bellezza cura anche le ferite più profonde.
Black Pills è una rubrica che non vuole insegnare nulla. Ci sono libri, articoli, manuali che trattano biografie di artisti, film, opere d'arte in modo dettagliato ed esaustivo. Non è questo il caso. Le pillole nere sono piccoli scorci di panorami culturali e artistici a volte molto ampi che rappresentano la possibilità di approfondire tematiche che non appartengono totalmente alla cultura di massa, ma che si muovono su altri canali e altri circuiti. In un mondo dove la scelta è limitata spesso a ciò che è definito nel senso più ampio come pop, è vivamente consigliato assumere qualche pillola di colore diverso e scoprire magari qualcosa di nuovo, che in alcuni casi, come nel mio, può accompagnare per il resto della propria vita.