Dogtooth: la mancanza di libertà, di relazione, di informazione

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A cura di Alice Kundalini - She Spread Sorrow

Dogtooth è un film di Yordos Lanthimos del 2009, regista greco con un'estetica che contrappone un forte realismo delle immagini a contenuti surrealisti con profondi risvolti filosofici e sociologici. Una regia senza orpelli, minimale ed efficace che ha in sé stessa una forma di comunicazione estremamente chiara anche laddove i contenuti seguono un filo che si discosta dalla realtà per come siamo abituati ad interpretarla.

Dogtooth è un film che ritengo fondamentale, ancor di più in un momento come questo, in cui libertà e  relazione sociale vengono messe in discussione come secondarie rispetto ad altri temi, quali la salute e la sicurezza, e in cui sembra che rapportarsi in maniera diretta con l'altro da noi non sia più così necessario.

In questo film si racconta la vita di una famiglia formata da un padre folle e autoritario, una madre sottomessa, due sorelle e un figlio maschio, ormai adulti. Una famiglia che per volere dei genitori vive completamente distaccata dal resto del mondo. Nessun componente, escluso il padre, può uscire di casa e avere contatti con il mondo esterno, se non per una figura esterna che viene "assoldata" dal padre per consentire al figlio maschio di sfogare il proprio desiderio sessuale. Il perimetro del loro giardino, tracciato da un muro e un'alta siepe, è un limite invalicabile, oltre il quale può succedere di tutto. La realtà che vivono i componenti della famiglia è costruita e ricreata dal padre, che la destruttura totalmente, a partire dal linguaggio. I figli non hanno un nome e non pensano di doverlo avere. Non conoscono il significato di alcuni termini di uso comune, viene modificato il senso di molte parole, gli vengono date informazioni non vere, ma che per loro costituiscono l'unica realtà possibile. Fuori una minaccia esterna che rende impensabile di uscire a sperimentare il mondo. Viene costruita una bolla asettica, autarchica, da cui non si è mai pronti a scappare per la paura di ciò che può succedere. La paura come strumento di potere e sottomissione, la libertà persa in nome di una sicurezza che apparentemente è necessaria e appaga. Non viene mai fornita una spiegazione del perché sia stato deciso di crescere in questo modo i figli e non vengono date ai figli informazioni su quanto accade fuori. L'assenza di un'informazione adeguata è essa stessa uno strumento di controllo.

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Tutto ciò ha delle conseguenze profonde nei figli in cui viene persa completamente la distinzione tra morale e immorale, tra bene e male, tra felicità e sofferenza, tra appagamento e frustrazione. L'identità si affievolisce e si perde in una quotidianità priva di colore e realizzazione personale  che porta all'esasperazione e alla mancanza di saper agire e reagire agli stimoli esterni in maniera non solo adeguata, ma anche semplicemente sana.

L'isolamento che porta quindi sofferenza, malattia mentale, violenza. La protezione che spinta all'estremo diventa sottomissione. L'amore familiare che diventa un delirio di potere. L'allegoria dipinge non solo le estreme conseguenze derivanti da un nucleo familiare malato, ma descrive e pone importanti interrogativi su una scala più ampia, socio-politica. Nelle follie che derivano dalla situazione di chiusura e distacco, viene reso evidente il fallimento della società chiusa e la lotta che scaturisce tra l'oppressione in nome della sicurezza e la libertà individuale. Il padre come uno Stato opprimente che in nome della sicurezza (non si sa bene in vista di quale pericolo) sacrifica la libertà di azione del singolo, la relazione con l'altro (divide et impera), l'informazione (chi non ha cultura non ha potere). 

Ritengo fondamentale vedere o rivedere questo film ora e porsi delle domande su quello che si ritiene sacrificabile e in nome di che cosa. Interrogarsi sulle conseguenze che può avere sacrificare la libertà e la relazione, perché non è pensabile che non ce ne siano. Cercare di mantenere un forte contatto con la propria individualità senza assimilare passivamente quanto ci viene proposto, ma cercando sempre una visione personale e autentica diventa oggi sempre più importante. Nel film i figli vengono cresciuti con la convinzione che i gatti siano animali feroci e ne sono terrorizzati, non provano mai ad accarezzarne uno con amore, coltivando così una convinzione imposta dall'esterno e mai sperimentata. Forse dovremmo sperimentare di più, ora come non mai, cercare le proprie verità senza fermarsi a quanto raccontato e imposto dall'alto. Cercare nella cultura, nella conoscenza, nella curiosità, nella sperimentazione quella chiave che può consentirci di mantenere un atteggiamento critico e consapevole di fronte a quanto ci succede quotidianamente, non consentendo a qualcuno di decidere quello che è giusto e quello che è sacrificabile per noi. Provare ad accarezzare un gatto e vedere se ci graffia, ecco. E se anche succede, cercare di capire se un graffio è valso il piacere di una carezza, non solo a quello, ma anche ad altri mille gatti, senza chiuderci in una bolla asettica sacrificando la ricchezza di un'esistenza piena in nome di una vita apparentemente sicura e sicuramente infelice. 


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Black Pills è una rubrica che non vuole insegnare nulla. Ci sono libri, articoli, manuali che trattano biografie di artisti, film, opere d'arte in modo dettagliato ed esaustivo. Non è questo il caso. Le pillole nere sono piccoli scorci di panorami culturali e artistici a volte molto ampi che rappresentano la possibilità di approfondire tematiche che non appartengono totalmente alla cultura di massa, ma che si muovono su altri canali e altri circuiti. In un mondo dove la scelta è limitata spesso a ciò che è definito nel senso più ampio come pop, è vivamente consigliato assumere qualche pillola di colore diverso e scoprire magari qualcosa di nuovo, che in alcuni casi, come nel mio, può accompagnare per il resto della propria vita.

 
Marco Mandrino